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"Il perito trascrittore
e la perizia di
trascrizione delle intercettazioni"

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Le trascrizioni
Si potrebbe liquidare il discorso dicendo: si ascolta e si
scrive quello che si è ascoltato. E’ vero: in sintesi è
proprio questo, una cosa da nulla, una cosa che tutti possono
eseguire con facilità. E invece, nella mia carriera di perito
trascrittore, mi sono trovata tante volte ad insegnare questo
lavoro e devo dire che delle tante persone che si sono
avvicinate, poche ne sono rimaste.
Affrontare un lavoro di trascrizione non è cosa semplice,
anche se nel pensiero comune è ritenuto di poco conto. Chi non
ha mai provato ad ascoltare e trascrivere quello che ascolta
non può immaginarsi le difficoltà a cui va incontro un
trascrittore.
Chiunque abbia affrontato invece il lavoro di
trascrizione, anche la semplice deregistrazione di una
conferenza o di una lezione, si è accorto della difficoltà di
rendere il linguaggio da parlato a scritto, cioè il passaggio
da un messaggio vocale a un messaggio scritto ed ha apprezzato
il susseguirsi dei propri processi fisici e psicofisici prima
e per poter rendere trascrizione.
Nella conversazione vi sono pause, esclamazioni, salti di
tonalità, esitazioni ecc; chi parla può non pronunciare bene
le parole, avere dei difetti di pronuncia o inflessioni
dialettali; il registratore può non aver ben registrato; ci
possono essere rumori di sottofondo e nei casi in cui a
parlare siano più di una persona, le voci si possono
sovrapporre. Questo per rendere trascritta una semplice
conferenza.
Quando si affrontano le conversazioni intercettate le
difficoltà aumentano esponenzialmente e dipendono da svariati
fattori caratteristici della fonte emittente e della fonte
ricevente. Cioè tutti i fattori meccanici, acustici,
ambientali, fisico/linguistici, emotivi e comportamentali che
interessano sia le persone intercettate che il perito che le
deve ascoltare.
Le persone intercettate, a differenza di quello che succede in
una conferenza, non parlano per un pubblico che ascolta,
quindi non cercano di essere comprensibili, sia da un punto di
vista di contenuto che di pronuncia fisica del suono.
Se
durante una conferenza si presuppone un ambiente favorito da
una buona acustica, al contrario, nelle conversazioni
intercettate si verificano in misura molto maggiore elementi
di disturbo, che vanno dalla registrazione in ambienti dove la
propagazione del suono è difficoltosa, a rumori di sottofondo
che coprono le voci e che impediscono di poterle decifrare,
alla posizione più o meno vicina del microfono che registra.
E’ diverso il parlare per una lezione dal parlare con un amico
o durante una discussione accesa. Le modalità con cui ci
esprimiamo e pronunciamo le parole sono completamente diverse
a seconda della persona con cui siamo in rapporto in quel
momento e dal nostro stato emotivo. Si può parlare a voce
alta, gridare, ma anche parlare sottovoce, parlare piangendo,
ridendo ecc.
In un linguaggio “parlato” si possono usare codici e
riferimenti che solo gli interlocutori conoscono ma
sconosciuti a chi ascolta. Linguaggi in codice sono i
linguaggi militari, i linguaggi scientifici o i linguaggi
appartenenti a gruppi di persone di differente stato sociale e
nazionalità, oppure quelli con cui volontariamente si vuol
mascherare qualcosa o altri del tutto personali.
Ad esempio:
il termine “merce” o ancora più specifico “bianca” per
indicare droga; due amici a telefono che ricordano la loro
infanzia e che usano parole, nomi, soprannomi, nomignoli a cui
erano abituati; un gruppo di persone che indicava con il
termine “piccolo”, tra due amici con lo stesso nome, quello di
età inferiore.
Il livello culturale dei parlanti può essere basso, di
conseguenza vengono usate con maggiore facilità espressioni
dialettali. Inoltre, dato che durante una conversazione
difficilmente si aspetta che una persona abbia finito di
parlare per interloquire, spesso la risposta si sovrappone
alla fine della frase del primo interlocutore. Questo fenomeno
di sovrapposizione è un grosso ostacolo che, in molti casi,
impedisce di decifrare quanto viene detto.
La costruzione di un linguaggio parlato è sostanzialmente
diversa da un linguaggio scritto. E’ ovvio dire che il perito
non è stato presente alle conversazioni intercettate, ma non è
altrettanto ovvio comprendere l’importanza di quei riferimenti
visivi condivisi dai parlanti e che gli rimangono sconosciuti.
Durante un dialogo fra presenti si possono indicare oggetti e
persone piuttosto che con il loro nome con dei pronomi o degli
avverbi. Enunciati come “quello là”, “diglielo”, “dammelo”,
“vai lì” non hanno significato se non per chi può seguire con
lo sguardo le indicazioni.
E’ indiscusso che l’elaborato peritale nasce dal rapporto
esistente tra la fonte emittente, cioè quello che è stato
registrato, e la fonte ricevente, cioè il perito. Si
potrebbero adottare tanti verbi per descrivere le funzioni
dell’orecchio del trascrittore prima di rendere una
trascrizione fedele a quanto ascoltato: dire che ascolta è
limitante e superficiale, perché ascolta, filtra, scinde,
estrae, scompone elimina e altri se ne potrebbero inserire.
Per rendere una trascrizione attendibile entrano in gioco le
competenze del perito, dal punto di vista propriamente
uditivo, chi non ci sente bene è tagliato fuori, ma in ugual
misura dal punto di vista linguistico, culturale, strumentale,
attitudinale, intuitivo e morale. Queste capacità, a livello
cerebrale, elaborano i suoni ricevuti dall’orecchio in frasi
appropriate. Il trascrittore procede nella stesura attraverso
un altalenante incedere progressivo composto da reiterati
ascolti e conseguenti aggiunte o correzioni.
Tanto maggiori e affinate saranno le competenze del perito,
tanto più fedele sarà una trascrizione.
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